Fu un estate particolarmente fortunata, con i miei amici di ricerca rintracciammo una famiglia di lupi e per diversi giorni ci recammo nel piccolo bosco con la speranza di poterli vedere e magari fotografare. Una mattina di agosto eravamo al nostro appuntamento coi lupi, ma a un certo punto il silenzio generale ci fece pensare che gli animali si fossero dileguati. Più passava il tempo e più perdevamo le speranze, ma nonostante ciò, come ogni volta, non ci saremmo mossi dalla nostra posizione prima delle otto: era questa l’ora che con Gabriella e Fabio avevamo fissato come limite massimo per rimanere nelle macchie del Piccolo Bosco.
Erano le 7 e 55 quando un rumore tra le foglie attirò la nostra attenzione; ci guardammo con Gabriella, muovendo solo la testa, e ritenemmo che la mattinata sarebbe finita con l’arrivo di qualche piccolo animale. Il calpestio, però, giungeva dalle nostre spalle e dal fitto delle macchie di carrubo e lentisco. Avremmo dovuto spostarci per controllare chi sopraggiungeva, ma, fedeli al nostro patto con la natura, restammo fermi a cercare di indovinare chi fosse arrivato da lì a poco.
Inizialmente pensai a un topo, poi a una lucertola e infine a una volpe. Il fruscio si avvicinava sempre più ed era difficile resistere alla tentazione di girarsi, solo che per farlo avremmo inevitabilmente fatto rumore e non volevamo interrompere l’incantesimo.
Erano quasi quattro ore che eravamo in quella posizione e niente aveva fatto vibrare il nostro cuore, eravamo rimasti immersi nei nostri pensieri a pensare che strada avessero preso i predatori per essere passati inosservati.
Quando alla fine non sentimmo più niente, io e Gabriella ci voltammo all’unisono, come fanno i gufi, ruotando solo la testa. Mai avremmo immaginato una scena del genere.
Era uno dei giovani lupi che si era preso gioco di noi, ci aveva fiutato ed era venuto a curiosare. Quando era arrivato a qualche metro, non potendoci vedere e non sentendo nessun rumore, si era arrampicato sulla pietra alle nostre spalle per guardare oltre i cespugli.
Era ancora più meravigliato di noi, dritto sulle zampette, che sgranava gli occhi e rizzava le orecchie. E forse si chiedeva come mai, nel tanto tempo che doveva averci osservato, non ci fossimo accorti di lui.
Le macchine fotografiche erano puntate dalla parte sbagliata e non riuscimmo a scattargli nemmeno una foto. Ma la sua immagine rimase impressa lo stesso nei nostri occhi, tanto che Gabriella volle riprodurla immediatamente in questo disegno:
Il racconto di Gabriella in www.italianwildwolf.com – Lucania Wild